Cristina Ali Farah

Da wikiafrica.

Ubah Cristina Ali Farah Ubah Cristina Ali Farah è nata a Verona nel 1973 da padre somalo e da madre italiana. È vissuta a Mogadiscio (Somalia) dal 1976 al 1991, quando è stata costretta a fuggire a causa della guerra civile scoppiata nel paese. Si è trasferita per alcuni anni a Pécs, in Ungheria, e in seguito a Verona. Dal 1997 vive stabilmente a Roma dove si è laureata in Lettere presso l'Università La Sapienza. Sin dal 1999 si occupa di educazione interculturale con percorsi rivolti a studenti di ogni ordine, agli insegnanti e alle donne migranti. Attraverso il Circolo Gianni Bosio, si è occupata della raccolta di storie orali di donne migranti residenti a Roma. Collabora, inoltre, con numerose riviste e testate come "Repubblica", “Internazionale”, "Giudizio universale". In Italia suoi racconti e poesie sono stati pubblicati in diverse antologie e riviste. Nel 2006 ha vinto il "Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre" alla Fiera Internazionale del Libro di Torino. Nella primavera 2007 è uscito “Madre piccola” il suo primo romanzo, edito da Frassinelli.

Su Wikipedia

Intervista a Cristina Ubah Ali Farah

Cristina Ali Farah, autrice del romanzo “Madre Piccola”, ha partecipato ad uno dei workshop di WikiAfrica, organizzati in occasione del Festivaletteratura di Mantova. Il suo intervento ha contribuito alla redazione della voce su wikipedia inerente alla letteratura e all’oralità africana.

1) Nel tuo nuovo romanzo “Madre Piccola” compaiono molte figure femminili. Quale legame sussiste tra le donne e l’oralità? Scrivo di donne, perché scrivo ciò che conosco: il mondo femminile è la realtà a me più vicina. Il mio libro “Madre Piccola”, prende ispirazione dalle storie orali che per anni sono state raccontate in famiglia o che ho sentito al telefono, oltre che da una serie di testimonianze che ho raccolto attraverso delle interviste. Ascoltando e parlando con le donne del mio paese, sono divenuta a mia volta testimone di storie di separazioni e distacchi: i loro stati d’animo mi sono arrivati grazie alla voce di chi li ha raccontati. Ora io li restituisco al mondo attraverso la mia scrittura, che cerca di mantenere il ritmo e la corporeità della voce.

2) I tuoi personaggi sono tutti protagonisti della “diaspora”, tutti cercano una nuova terra. Nasce da qui l’esigenza di scrivere le loro storie? Sì, perché i protagonisti della diaspora si sentono come “una collana recisa, in cui tutte le perle sono rimbalzate in più direzioni”. Con il mio romanzo e la mia scrittura, narro la storia di queste perle, quella delle tessere di un mosaico: il mio tentativo è fare in modo che le perle ritornino ad essere parte della stessa collana.

3)Trascrivere un racconto, significa “fermare” la voce? Sì, perché è una appropriazione e un processo creativo allo stesso tempo. La scrittura serve per fissare la presenza, per rendere eterno un linguaggio che diversamente, svanirebbe nel tempo. In questo processo di traduzione ho annullato me stessa per dare voce agli altri e permettere ai miei personaggi di raccontarsi. Il lavoro di scrittura è questo: riuscire a separarsi da quello che si scrive.

4) Ti senti una griot? L’oralità, per l’Africa, sembra un marchio di fabbrica… I griot non parlano di sé…, proprio come faccio io. Narravano quello che succedeva e quindi divenivano cantori dell’esterno…sarebbe ambizioso pensare di esserne una. Oggi la scrittura è mercificata ed è difficile creare relazioni stabili tra scrittori e pubblico.

5) Parlando di WikiAfrica, cosa ti colpisce di questo progetto? Che è democratico, trasversale: in internet lo spazio e il tempo si annullano. Sul web si vive sempre nel presente: per me questa è una cosa fondamentale perché chi vive la diaspora, vive in una perpetua sospensione, senza però riuscire a dargli una connotazione precisa. Il distacco dalle proprie radici pesa sulla vita delle persone, dandogli la sensazione di essere sempre in attesa che qualcosa accada, o cambi.

6) Qual è l’itinerario di Roma, che ispira di più le tue scritture? Tutta Roma sa ispirare le mie scritture, nonostante sia una città difficile, caotica e spesso contraddittoria. Amo i luoghi di passaggio, le stazioni, ma anche i parchi. All’inizio, dopo il mio trasferimento, quando mi sentivo confusa e spaesata, spesso andavo a Villa Ada, Villa Pamphili perché i loro spazi mi rasserenavano.